IL PUNTO di Vittorio A. Sironi
Mens sana in corpore sano, affermavano gli antichi romani, che già avevano compreso come un buon equilibrio psichico fosse fondamentale per la salute di tutta la persona, perché mente e corpo costituiscono un’unità inscindibile.
Il 10 ottobre si è celebrata la Giornata mondiale della salute mentale, istituita nel 1992 dalla Federazione mondiale per la salute mentale e sostenuta dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione sulle tematiche connesse al concetto di salute mentale, promuoverne la cultura e lottare contro lo stigma ancora oggi esistente su questo tema. Lo slogan di questa edizione afferma che «la salute mentale è un diritto umano universale » e riprende in parte il concetto sottolineato nell’edizione dello scorso anno, che ribadiva l’importanza di «rendere la salute mentale una priorità globale». Il termine “salute mentale” definisce in realtà una dimensione ampia, che si riferisce a uno stato di benessere generale dell’indivi-duo e non si esaurisce nella mera assenza di patologia psichica o di disagio esistenziale. Godere di una buona salute mentale significa raggiungere uno stato di equilibrio interiore che consente di utilizzare, in caso di necessità, tutte le risorse emotive, cognitive, sociali e fisiche di cui si dispone per affrontare in modo efficace le sfide che la vita pone.
Oggi la medicina aiuta a comprendere meglio come non esista una separazione tra corpo e mente. Ecco perché la salute mentale non si esaurisce nel benessere psicologico, ma coinvolge una dimensione più globale della persona. Essere attenti alla propria mente significa occuparsi anche del proprio corpo e dunque della salute in generale.
La sofferenza mentale è da sempre accompagnata dalla paura e dalla vergogna e, se oggi la patologia psichica è vista in modo differente rispetto al passato, anche perché esistono terapie efficaci in grado di far superare questa condizione di disagio, tuttavia il pregiudizio sociale e lo stigma dell’incurabilità sono ancora sovente troppo radicati. Le persone con disturbi mentali sono spesso considerate pericolose dalla società e la diffidenza e il pregiudizio nei confronti dei medici che si occupano di queste patologie rappresentano una delle più grandi barriere per l’accesso alle cure.
Sono proprio le testimonianze di chi ha dedicato la vita per trarre dalla sofferenza esistenziale questi malati che possono costituire motivo per superare gli ostacoli. Eugenio Borgna, decano della psichiatria italiana, in una delle sue ultime opere ( Nei luoghi perduti della follia, Feltrinelli 2020), mostra come la sua lunga esperienza insegna che, senza negare la malattia, si può sempre riconoscere la dimensione umana di ogni malato. Lo ribadisce, con una storia e con parole diverse, lo psicoanalista Massimo Ammaniti, rievocando in Passoscuro (Bompiani, 2022), agli inizi del suo cammino professionale negli anni Sessanta, l’incontro con i minori considerati “irrecuperabili” dell’ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà di Roma.
L’umanità che non abbandona mai le persone – anche quando hanno vissuto grande parte della loro esistenza dentro i manicomi, prima che fossero aboliti nel 1978 – è confermata pure dalle loro testimonianze dirette. Come raccontano le “voci dal manicomio” di Gorizia, raccolte tra il 1968 e il 1977 e riportate in un volume da Anna Maria Bruzzone ( Ci chiamavano matti, Il Saggiatore, 2021), o come i foglietti con i testi e le poesie scritte dagli ospiti “folli” del Paolo Pini di Milano ritrovati al momento della chiusura nei cassetti, negli armadi, nelle tasche delle vestaglie e raccolti da Teresa Melorio e Claudio Serapiglia ( Folle amore, La Vita Felice, 2023). Parlare di salute mentale, per superare i pregiudizi e rendersi conto che la dimensione psichica merita un’attenzione uguale – se non maggiore – della componente fisica per prevenire le malattie e per vivere un benessere completo, si può e si deve.