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«Infermieri, in ospedale un mix di popoli»

Venezia ha sempre avuto una vocazione multietnica, tant’è che un abitante su dieci ha origini straniere
16 Giugno 2023

di  PAOLO VIANA

Venezia ha sempre avuto una vocazione multietnica, tant’è che un abitante su dieci ha origini straniere. All’Ospedale San Raffaele Arcangelo Fatebenefratelli questa tendenza si è affermata dopo la pandemia. Nelle corsie dell’ospedale di San Giovanni Dio famoso per la riabilitazione gli operatori sociosanitari e gli infermieri sono sessanta (su 180 operatori) e appartengono a venti diverse nazionalità, tra cui due suore indiane, una di Timor Est e una indonesiana. Presto anche il cappellano sarà indiano. Operano in un nosocomio storico della Serenissima, forte di 190 posti letto, e che offre alla città anche una Rsa e un hospice. Come si gestisce questo piccolo mix di popoli lo spiega il superiore fra Marco Fabello.

Venti nazionalità diverse in un luogo di lavoro non sono un problema, innanzi tutto linguistico?

Nelle prime settimane sì, ma poi i corsi di italiano e la professionalità creano una normalità operativa. Da quando la pandemia ha svuotato la sanità privata convenzionata, poiché molti infermieri e oss hanno preferito andare a lavorare nei nosocomi pubblici, abbiamo dovuto cercare una soluzione, in collaborazione con il Centro provinciale. E questa è ottimale.

È una rivoluzione recente?

Abbiamo operatori stranieri da tempo. I brasiliani, ad esempio, si danno il cambio perché dopo un po’ avvertono la nostalgia del proprio Paese. Dopo di loro sono arrivati i moldavi, gli albanesi, gli ucraini, i russi...

Russi e ucraini insieme?

Senza nessun problema.

Come li reclutate?

Prevalentemente attraverso il passaparola. Spesso sono familiari di chi lavora già qui. In tutti i casi, si tratta di personale specializzato, che quando arriva è ben preparato: ha solo bisogno di un aiuto per imparare bene la nostra lingua. Noi glielo offriamo con i numerosi corsi di italiano che ci sono in città. Un altro tema è l’abitazione: quando arrivano li ospitiamo in una struttura dell’ospedale, poi si trovano una casa. Sul piano professionale tutti offrono gli standard e a tutti si applica il contratto italiano.

Lingue e nazionalità diverse. Ma anche religioni diverse?

Abbiamo musulmana tra gli albanesi, grandi professionisti. Nessun problema. C’è anche un sacerdote ortodosso che lavora come infermiere dell’hospice e quando ha finito di lavorare guida la comunità ortodossa di Noale.

Il reclutamento di stranieri è passeggero o strutturale?

Durerà molto. Abbiamo allestito corsi di italiano a distanza per ridurre i tempi di integrazione, ci sono corsi per oss e stiamo creando una scuola per infermieri che sarà frequentata anche da stranieri. Viviamo la difficoltà con entusiasmo, anche grazie alla nuova squadra dirigenziale dell’ospedale che si è posta in modo proattivo ad affrontare questi problemi. Oggi, grazie a questo clima di collaborazione, abbiamo un personale straniero ma ben formato che parla bene l’italiano. Un successo conseguito in pochi mesi.

Quindi nessuna Babele?

Assolutamente no. Anzi, è un arricchimento avere operatori di tutto il mondo, che ci portano il know how di altri sistemi sanitari, non sempre più “arretrati” del nostro, come erroneamente si pensa. Stiamo già lavorando per assumere nuovi infermieri dall’India, formandoli a distanza.

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