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Territorio e servizi, il “modello” RSA

Avvenire - è Vita, la persona e la cura. L'inserto del giovedì
7 Ottobre 2021

Si apre oggi il Congresso nazionale di Uneba: sul tavolo la sfida di ridisegnare l’assistenza (e non solo agli anziani)

Da oltre 70 anni la Fondazione don Carlo Gnocchi fornisce servizi e assistenza sociosanitaria a bambini, adolescenti, disabili e anziani in 27 strutture residenziali e una trentina di ambulatori in nove regioni. La onlus intitolata al beato lombardo è tra le prime in Italia nella gestione di Rsa, con 1.600 posti letto per over 65 distribuiti soprattutto nei sei centri della Lombardia, ma anche a Roma e in Basilicata. Fabrizio Giunco è il direttore del Dipartimento cronicità e ha dovuto affrontare tutti gli aspetti sanitari e clinici legati alla pandemia. Una voce scientifica da ascoltare nel giorno in cui a Lignano inizia il congresso nazionale Uneba, rete di cui la Don Gnocchi è tra le istituzioni di riferimento.

Tra marzo e dicembre 2020 ci sono stati in Italia circa 20mila morti nelle Rsa (anche se non tutti riconducibili direttamente al Covid).

Un ciclone che si è abbattuto su tutte le strutture per anziani. Voi come lo avete fronteggiato?

È stato un duro colpo. Il virus si è propagato velocemente, tutti ci siamo dovuti muovere tra mille incertezze e, soprattutto all’inizio, con informazioni frammentarie e imprecise, anche da parte dell’Istituto superiore di sanità. Ma l’emergenza non ci ha colto impreparati: nelle nostre Rsa abbiamo attivato le unità

di crisi già da inizio febbraio anticipando le disposizioni del primo Dpcm, quello dell’8 marzo. Ci siamo attrezzati subito con le procedure di sicurezza: triage, dispositivi di protezione individuale, controllo degli operatori e limitazioni delle visite esterne. Questo, però, non ha impedito al virus di entrare. Abbiamo imparato sul campo la regola del “+15”: ciò che accade oggi è dovuto a un contagio avvenuto 15 giorni prima. Siamo riusciti a contenere

in tre settimane il primo grosso cluster, nonostante la crisi degli operatori che ha comportato una maggiore fatica. Ma adesso la situazione nelle nostre Rsa può essere definita solida e sicura.

Come sono cambiate la cura e l’assistenza degli anziani con il Covid? Ci sono nuove patologie di cui dovete occuparvi?

Abbiamo rilevato che tra gli ospiti contagiati da Sars-Cov-2 quasi mai si sono verificati sintomi respiratori. Spesso ci siamo trovati di fronte a quadri clinici complessi e difficili da individuare singolarmente. Ma nessuno strascico di rilevante entità. I problemi più grossi sono dovuti all’isolamento forzato, alla mancanza di contatti con parenti e amici, al lungo allettamento e alla conseguente difficoltà nel riprendere la funzionalità motoria.

Con le vaccinazioni agli ospiti e al personale i casi di coronavirus sono crollati e si sono potute riaprire le strutture. Ma è sufficiente questa profilassi?

I risultati della campagna vaccinale anche nelle Rsa sono evidentissimi. Non solo si registrano casi sporadici e meno importanti di Covid-19 ma anche l’influenza, che nelle precedenti stagioni ha fatto registrare picchi di mortalità consistenti, è quasi sparita e comunque più bassa del solito. E questo grazie anche agli screening periodici e alle misure di sicurezza che ancora vengono adottate.

Dopo questa esperienza andrà ripensata l’attuale forma della Residenza socio-assistenziale per anziani? E quale modello è da seguire?

Innanzitutto va definito un sistema unico di classificazione delle strutture per anziani, che oggi varia da regione a regione. Dobbiamo anche capire quali tipologie di Rsa vanno riformate, tenuto conto che quasi tutte nascono da un modello datato, quello dell’ospedale. Con la conseguenza che nella maggior parte dei casi c’è poca attenzione agli spazi privati. I servizi comuni non devono

essere troppo intrusivi: meglio le camere singole, o al massimo doppie, niente camerate tipo corsia ospedaliera.

Il modello scandinavo viene preso spesso come esempio....

Mah... nelle strutture per anziani di Svezia e Danimarca la pandemia ha colpito ancora più duramente che da noi, perché lì c’è molta attenzione all’autonomia dell’ospite ma poca verso i più fragili che, se si ammalano, devono andare in ospedale. Reggono meglio le residenze non affollate. Ci devono essere investimenti più cospicui, chi fa non profit lo dice da 20 anni. Ma ancora non è cambiato nulla. Dovrebbero esserci soluzioni diverse a seconda del territorio, perché fare una Rsa nella Pianura padana non è la stessa cosa che farla in Lunigiana. È necessario privilegiare spazi aperti e una certa modularità interna, housingsociale con i servizi. Ma ho l’impressione che non siamo pronti a riorganizzare così profondamente l’assistenza.

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