Un partecipante al progetto Take Time to Care 2023 rivolto ai giovani in formazione alla vita presbiterale e consacrata ha voluto condividere la sua esperienza: ne presentiamo alcuni significativi aspetti.
Scrivo le mie impressioni sull’esperienza Take Time To Care 2023 che mi è stato fatto dono di vivere. Come è stato espresso dagli altri seminaristi di diverse Diocesi d’Italia, anche per me è stata una bellissima esperienza e sono davvero molto grato di averla vissuta.
Davanti ai malati siamo nudi, siamo quello che siamo
Ho imparato che davanti ai malati si è «nudi». Le sovrastrutture, che durante la vita si costruiscono, vengono annullate all’istante e ti trovi tu solo, come sei, con una persona lì davanti a te. Questo mi ha fatto pensare due aspetti.
Il primo, che questa esperienza ha fatto emergere la responsabilità e l’importanza di conoscersi profondamente e autenticamente, di affrontare le proprie ferite e di nutrirmi davvero bene per portare veramente qualcosa di concreto e vero; e si realizza in questo modo l’affermazione «portare Gesù», riempiendomi veramente di lui con la liturgia, la preghiera, la Parola di Dio, altrimenti sono vuoto e porto niente.
Il secondo, che per me è stata una ricarica di autostima perché mi dice che la mia struttura vera, il «così come sono», va benissimo così come è. Questo è un insegnamento molto importante e valido anche per come affrontare le relazioni con tutte le persone che incontrerò anche al di fuori dell’ospedale.
Una scoperta inattesa
Un altro aspetto interessante è stato quando ci presentavamo come seminaristi (quindi persone che richiamavano la realtà di Dio). Quelli che accettavano il nostro incontro, ci ritenevano degni di ascoltare e di ricevere gli aspetti più intimi della propria vita, addirittura che non avevano mai raccontato a nessun altro, seppur ci avessero appena conosciuto. Questo mi ha fatto pensare alla grandissima responsabilità di essere uomo di Dio credibile e del «potere» che le persone mi affidano su di loro.
L’esperienza di collaborazione sacerdotale
Ho apprezzato molto il poter andare insieme nei reparti. Sicuramente era un modo per incoraggiarsi a vicenda e spalleggiarsi. Soprattutto dava la possibilità di affrontare una situazione insieme, confrontarsi e collaborare imparando anche a non pestarci i piedi attraverso una maggiore conoscenza reciproca e senza cercare di prevalere l’uno sull’altro. È stato un buon allenamento per una vera e buona collaborazione “sacerdotale”, imparando a prendersi cura dell’altro, senza avere uno sguardo di giudizio.
Fondamentale, per il servizio, anche il momento di rigenerazione
Anche i due momenti di rigenerazione ai Musei Vaticani e alle cascate delle Marmore si sono rivelati importanti. Sia perché molto belli, sia soprattutto perché mi hanno fatto riconoscere che anche questo fa parte del servizio e del prendersi cura degli altri. È un aspetto che in genere viene messo in disparte, quasi considerato come «tempo perso», invece ho riconosciuto come sia fondamentale. Imparare a prendersi cura anche di sé è necessario per prendersi cura degli altri.
L’interiorizzazione dell’esperienza
Gli incontri di formazione la mattina sono stati interessanti, chi più chi meno. Sicuramente tutti i relatori erano molto preparati e ricchi di contenuto. L’aspetto che ho apprezzato molto di questa proposta (e che secondo me le dà quel qualcosa in più) non è solamente che si presenta ed è ben strutturata, ma che non si tratta solo di servizio, di «fare qualcosa», ma che dia la possibilità di interiorizzare l’esperienza fatta e imparare uno stile di vita diverso.