Recensione di Simone S. Masilla
L’opera “Ars Curandi” di Elena Franco, data alle stampe nell’aprile del 2021 e prodotta dalla casa editrice Artema di Torino, presenta tre importanti strutture ospedaliere sorte nel medioevo, ed oggi ritenute un inestimabile patrimonio artistico ed architettonico: l’“Hôtel-Dieu” di Beaune, il “Notre-Dame à la Rose” di Lessines e il “Santa Maria della Scala” di Siena.
Come appare dalle indicazioni topografiche, il testo supera i confini nazionali, per congiun-gere esperienze architettoniche transalpine con quelle senesi. Le parti testuali propongono, per tale ragione, un bilinguismo italo-francese che offre la possibilità di leggere i vari autori nelle ri-spettive lingue materne. È facile notare ad un primo sguardo la differenza radicale tra la tratta-zione testuale bilingue e la proposta fotografica di elementi artistico-architettonici. Questo secon-do approccio, preponderante nell’economia dell’opera, non necessita di alcuna traduzione, sottoli-neando il valore intrinsecamente umano ed universale dell’arte. Su questo aspetto l’autrice, Elena Franco, innesta la preziosa interrelazione che tali luoghi testimoniano tra gli ambienti della cura e l’arte intesa come elemento umano e umanizzante. La cura viene così ad essere connotata piena-mente come un’arte capace di cogliere l’uomo nel suo bisogno e nella sua interezza.
«Sono luoghi in cui l'arte ha sempre avuto un ruolo centrale nel processo di cura, che met-teva al centro la persona nella sua interezza di corpo e di spirito» . Così nella presentazione, viene sottolineato quanto l’elemento artistico superi il mero intento decorativo, divenendo espressione di un approccio olistico al mondo della cura e dell’accompagnamento degli infermi. Queste strut-ture sono accomunate da una nascita in epoca medievale, e da uno sviluppo nei secoli che mostra i segni del progresso storico dell’arte della cura. Tutti e tre i complessi architettonici sono stati di-smessi dalle loro funzioni ospedaliere in epoca recentissima (seconda metà del Novecento) pro-prio a causa del progresso nell’ambito sanitario, necessitante di strutture più adeguate. Restano complessi architettonici dall’ampia funzione culturale che certamente vuole mostrare quanto la cura del dettaglio ornamentale altro non è che la presa in carico della persona e della sua umani-tà. Molto ha da imparare l’assistenza medica moderna da questi luoghi e da un simile approccio certamente differente ed ancora poco tecnicizzato.
È importante collocare la fondazione di queste strutture all’interno di iniziative di carità mosse da privati cittadini benestanti, come gesti devozionali. Nonostante l’altissimo valore artisti-co contenuto negli ornamenti e nelle opere scultoree e pittoriche ospitate, gli ospedali erano co-struiti per l’accoglienza dei poveri e per il loro accompagnamento alla morte. Diversamente da altri luoghi dell’arte, commissionati da famiglie nobili per i nobili o per la manifestazione del po-tere di un casato, questi complessi architettonici sono uno strumento di alto valore artistico al ser-vizio dei meno abbienti. Da qui sembra che il testo custodisca un altro messaggio per la medicina moderna, declinato nelle tre trattazioni, e rappresentato dal valore comunitario di questi luoghi di cura frutto di un interscambio proficuo tra diversi ceti sociali. Ogni struttura non rappresentava tanto un presidio sanitario di competenza di un ristretto numero di persone (curanti e malati), ma un gesto di carità per l’intera comunità.
La storia dei luoghi insieme alla descrizione degli ambienti e delle opere artistiche ivi con-tenute, vengono trattate con dovizia di particolari. La stessa premura del dettaglio traspare dall’ampia raccolta fotografica che trasporta il fruitore negli ambienti immortalati, in una cornice atemporale, a tratti idilliaca, ma sempre molto incarnata e reale, quasi a voler affermare quanto sia ancora fattibile un tale approccio olistico alla persona. Questi luoghi del passato rivelano una necessità attuale, quella spesso espressa con la locuzione “umanizzazione delle cure”. La fruibilità di questi posti, il fatto che siano a nostra disposizione come bagaglio culturale tramandato nei se-coli, esprime la fattibilità di una concreta attenzione al dettaglio nel gesto di cura, anche nella sua dimensione ornamentale. I luoghi della cura, seppur tecnicizzati dall’avanzamento della ricerca scientifica, possono ancora ambire alla bellezza dell’arte, e la bellezza a sua volta può ritornare ad essere parte integrante di ogni gesto di cura.
L’autrice nonché curatrice, è un architetto e fotografa, l’opera infatti è ampiamente corre-data di foto che pongono in luce elementi architettonici, artistico-decorativi e arte liturgica. È già noto all’editoria italiana ed estera il suo interesse per i siti ospedalieri, nel 2017 ha pubblicato un altro testo simile dal titolo “Hospitalia”.
Elena Franco non è l’unica autrice dell’opera, in quanto per la presentazione delle strutture ospedaliere, l’opera raccoglie tre commenti di esperti autoctoni, che parlano delle strutture con una conoscenza profonda e radicata nelle rispettive storie e nei loro stessi luoghi di provenienza. Questo rende quei brevi estratti descrittivi di immenso valore culturale.
Gli altri autori sono nell’ordine: Bruno François, storico dell’arte nato a Digione a pochi chi-lometri da Beaune, che ha speso parte della sua formazione nello studio e nella catalogazione dei beni artistici della Borgogna ed in particolare dell’“Hôtel-Dieu”; Raphaël Debruyn, nato a Lessines, curatore del Museo del “Notre-Dame à la Rose”; Debora Barbagli, archeologa e storica dell’arte greca e romana, nata a Siena, città ospitante il complesso museale del “Santa Maria della Scala”.