di Assuntina Morresi
Con la prima fase dell’approvazione della Legge che rende la surrogazione di maternità un reato universale, cioè perseguibile ovunque se compiuto da cittadini italiani, il nostro Paese si avvia a essere un’avanguardia nella promozione, a livello internazionale, dei diritti fondamentali di donne e bambini. In gioco infatti è, imprescindibilmente connessa, la concezione stessa del materno, cioè di quel rapporto unico che lega ogni donna al proprio figlio: rapporto che si forma durante l’esperienza della gestazione e del parto, eventi che segnano la differenza fra un uomo e una donna, caratterizzante la specie umana. Certamente diventare madre non è riconducibile al solo dato biologico: si può vivere la dimensione della maternità anche al di fuori della generazione fisica di un figlio, ma è lo straordinario vissuto della gravidanza e del partorire a esserne il paradigma. Un paradigma che la surroga di maternità muta radicalmente.
Come noto, l’utero in affitto consiste nella cessione di un neonato a seguito di un contratto appositamente stipulato fra più soggetti. Ciò che distingue la surroga, quando consentita, dalla compravendita di bambini, considerata reato ovunque, è in primis la tempistica contrattuale: nella surroga una donna si impegna a cedere il figlio appena partorito a una coppia, etero od omosessuale, o a una singola persona, secondo modalità stabilite da un contratto stipulato prima del concepimento. Lo stesso contratto, se stipulato dopo il concepimento (o dopo la nascita), è sostanzialmente già reato universale: una donna incinta che si impegnasse a cedere ad altri il nascituro in cambio di denaro o benefit è già perseguibile ovunque. La particolare tempistica della surroga è funzionale all’uso delle tecniche di fecondazione assistita: è il loro combinato disposto a far diventare questa procedura un mercato. Il concepimento in questi casi, infatti, non avviene mediante un rapporto fisico ma nei laboratori di cliniche specializzate, generalmente con gli ovociti di una donna che però non partorirà. Gli embrioni formati in vitro potranno essere trasferiti nell’utero di un’altra donna, la madre surrogata, diversa da quella genetica e dai genitori committenti.
È un cambio di paradigma del materno quindi, quello che porta la maternità surrogata, che in quanto tale non può che essere un mercato con le sue dinamiche e i suoi costi, regolato da una contrattualistica ad hoc, che coinvolge necessariamente i genitori committenti, chi cede i propri gameti, le donne che si prestano come gestanti, e poi cliniche, studi legali e agenzie specializzate. Le donne, in particolare, sono il “mezzo” necessario per ottenere il “prodotto finale”: bambini. Adoperarsi per rendere la surrogazione di maternità un reato perseguibile ovunque significa quindi rifiutarsi di ridurre la gravidanza e il parto a una prestazione d’opera contrattualizzata, e quindi soggetta alle leggi dell’offerta e della domanda; significa chiamarsi fuori dal mercato dell’umano reso possibile da certe nuove tecnologie, e riconoscerlo come una violazione della dignità e dei diritti fondamentali delle persone che ne diventano oggetto, cioè i nati, chi fornisce i propri gameti e le gestanti, a prescindere dal consenso dato da queste ultime.
Su questo punto è importante essere chiari: se per sanzionare lo sfruttamento degli esseri umani dovessimo dipendere dalla percezione personale o dalle dichiarazioni di volontà delle persone oggetto di trattamento degradante, verrebbe a cadere il fondamento stesso dei diritti umani. Se l’abuso di esseri umani non fosse oggettivamente riconoscibile, ma dipendesse dalle sensibilità individuali, sarebbe inevitabilmente regolato dalla legge del più forte (il mercato). Non a caso, non è consentito stipulare “liberi contratti di schiavitù”.
L ’opinione pubblica a favore del disegno di legge che rende l’utero in affitto un reato universale include anche aree culturali e personalità che non fanno parte del bacino elettorale dell’attuale governo: un fatto tanto più significativo in un panorama politico nettamente polarizzato come il nostro, e che potrà essere un esempio per altri Paesi e altre società che ci stanno guardando.