"Quando una persona sceglie di terminare la propria vita si impongono atteggiamenti di profondo rispetto per chi vive una sofferenza tale da decidere di smettere di vivere. La sofferenza delle persone va sempre considerata e se porta ad una scelta così estrema significa che è molto alta", afferma don Massimo Angelelli, direttore dell'Ufficio nazionale per la Pastorale della Salute della Cei.
"Un altro atteggiamento richiesto è di vicinanza fraterna a chi soffre in questo modo, perché non si senta solo. La comunità cristiana prega e accompagna ogni sofferente".
"Al tempo stesso - prosegue il direttore dell'Ufficio Cei - non è condivisibile ogni azione che vada contro la vita stessa, anche se liberamente scelta. La vita è un bene ricevuto, che va tutelato e difeso, in ogni sua condizione. Nessuno può essere chiamato a farsi portatore della morte altrui. La coscienza umana ce lo impedisce. La comunità civile, anche attraverso le sue scelte pubbliche, è chiamata ad assicurare le condizioni perché ogni sofferente sia sollevato dal dolore, anche attraverso i percorsi palliativi, e garantire le cure necessarie ai malati che sono al termine della loro vita".