di ANGELO TANESE - Direttore generale Asl Roma 1
Affrontando la durissima prova dell’emergenza pandemica il nostro Servizio sanitario ha come ritrovato sé stesso. Dovendo farsi carico di tracciare, prendere in carico e accompagnare nei diversi setting assistenziali le persone positive al Covid, le strutture sanitarie si sono trovate nella necessità di operare in modo più tempestivo, più integrato e più vicino alle persone. Come avremmo potuto, infatti, non identificare con cura i casi di contagio nei nostri Pronto soccorso e attivare reparti dedicati? Allo stesso modo abbiamo dovuto gestire le dimissioni dagli ospedali garantendo la continuità di presa in carico negli alberghi Covid o a domicilio, con l’utilizzo delle Unità speciali di continuità assistenziale (Usca). E ancora, è diventato fondamentale intercettare rapidamente nuovi focolai con piattaforme diagnostiche integrate dei nostri laboratori e un incessante lavoro di contact tracing e screening (in luoghi di lavoro, Rsa e case di riposo, scuole...).
La necessità di essere rapidi e accurati nell’intercettare e gestire i pazienti Covid porta con sé anche un forte impatto organizzativo e culturale. La dimensione globale della pandemia ha reso infatti manifesto che la salute è un bene comune primario che può condizionare ogni altra sfera della socialità e dell’economia.
L’unico modo per tutelarla è conoscere i bisogni e prendersi cura di ogni singola persona, a partire dai più deboli per arrivare a tutti, nessuno escluso (come avviene per le vaccinazioni, o la prevenzione). Questo richiede una nuova organizzazione dei servizi socio-sanitari ma anche una maggiore consapevolezza e responsabilità dei cittadini e delle comunità nel costruire insieme un sistema di protezione e di promozione della salute e del benessere. Credo che la pandemia rappresenti uno spartiacque tra un servizio sanitario 'prima' e 'dopo' il Covid. L’attenzione e la cura con cui abbiamo cercato di tracciare e seguire
ogni singolo paziente Covid dovrà necessariamente essere la stessa con cui intercettiamo e ci prendiamo cura, anche dopo l’emergenza, delle persone che hanno bisogno di maggiore assistenza. Per fare questo occorre costruire un Servizio sanitario più 'vicino' e 'digitale'.
Il concetto di prossimità non deve legarsi unicamente a una idea di presenza fisica e capillare di luoghi di cura. Oltre a realizzare le nuove Case della Comunità – accoglienti e facilmente accessibili – dobbiamo pensare a come prendere in carico i bisogni delle persone una volta che hanno fatto ingresso nella rete dei servizi sanitari e non abbandonarli. Che sia il medico di medicina generale, l’infermiere di comunità, lo specialista o un centro diagnostico a intercettare un bisogno di salute di un cittadino, non deve essere quest’ultimo a dover andare in cerca del servizio necessario, ma è la rete dei servizi a dover attivare e garantire assistenza e continuità, accompagnandolo e sostenendolo, affinché non si ritrovi mai più solo.
Per essere vicino alle persone, il Servizio sanitario deve essere anche digitale, perché la possibilità di intercettare e accompagnare le persone nei loro percorsi di cura può avvenire solo se tutte le strutture ambulatoriali, diagnostiche, di ricovero e cura del servizio sanitario sono collegate tra loro e alimentano un unico fascicolo sanitario, a cui il cittadino stesso possa accedere per visionare documenti, ricevere informazioni e usufruire di servizi online.
Vorrei infine condividere un’ultima considerazione. Il Covid non ci ha ricordato solo quanto è importante rimettere al centro la persona e costruire dal basso il suo 'progetto di salute', ma ci ha anche riconsegnato il valore e il ruolo imprescindibile della comunità alla quale apparteniamo.
La comunità locale, anche al tempo di Internet e dei social media, può costituire una efficace rete di tutela per i più vulnerabili, un sistema di inclusione e di protezione sociale che mette in relazione soggetti pubblici e privati, laici e religiosi, che operano a diverso titolo nell’area del welfare e dell’assistenza socio-sanitaria. La comunità
non è un concetto statico o predefinito, ma un sistema di relazioni che si costruisce e si consolida nel tempo attraverso l’incontro, l’ascolto, l’impegno, la fiducia e il sostegno reciproco. Abbiamo bisogno di ricostruire dal basso questo sistema di relazioni, in cui anche le parrocchie, quali reti sociali già attive, possono svolgere un ruolo importante di prossimità e accesso ai servizi sanitari e sociali. Attraverso le parrocchie, in collaborazione con le Aziende sanitarie locali e i Comuni, è possibile informare, sensibilizzare e realizzare iniziative di promozione della salute, ma soprattutto far emergere una domanda di assistenza che non ha voce, quella delle persone, delle situazioni di disagio o delle famiglie invisibili ai servizi e, per questo, 'irraggiunte'.
Questa sfida della collaborazione tra servizio pubblico e parrocchie può essere molto proficua, un tassello di un modello di welfare a cui dobbiamo tendere, in cui chi viene intercettato è subito riconosciuto, preso in carico e assistito nel luogo più appropriato, a partire dalla propria casa, nella comunità e con la comunità.
© RIPRODUZIONE RISERVATA