UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLA SALUTE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

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La salute, un abbraccio alle persone

Avvenire - è Vita, la persona e la cura. L'inserto del giovedì
20 Settembre 2021

Venticinque anni fa la Cei creava l’Ufficio nazionale. Il direttore don Angelelli: ora c’è bisogno di «comunità sananti»

Pensare al futuro della pastorale della salute significa immaginarla come «parte della pastorale ordinaria». Ciò vuol dire che «nelle nostre comunità cristiane dovrà trovare il giusto posto la cura reciproca che ha come sorgente il comandamento dell’amore. Ecco, abbiamo bisogno di “comunità sananti”, che si facciano carico delle ferite e dei bisogni dei fratelli e che insieme li accompagnino in modo che nessuno resti ai margini. La lotta alla cultura dello scarto ci chiama ad avere una maggiore attenzione verso quanti sono più vulnerabili », spiega don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute. L’Ufficio Cei compie 25 anni. Ma più che un momento di bilanci, l’anniversario è l’occasione per guardare oltre il contingente. «E il nostro avvenire sarà scritto a partire dall’esperienza del Covid che ha modificato le relazioni e chiede di leggere in un’ottica nuova la presenza accanto al malato e la vicinanza alle sofferenze».

Don Angelelli, torniamo a un quarto di secolo fa. Da quale intuizione si partì?

La pastorale della salute si è configurata con Giovanni Paolo II che, anche sull’onda della sua esperienza personale e dell’attentato del 1981, volle che la Chiesa si facesse prossima ai malati. E nel 1992 istituì la Giornata mondiale del malato di cui celebreremo nel 2022 i trent’anni. Di fatto maturò l’idea di una pastorale specifica per il mondo della malattia e della sofferenza, che venne recepita dalla Cei anche predisponendo un apposito Ufficio nazionale.

In 25 anni che cosa è cambiato?

Direi che c’è stata un’evoluzione, un allargamento degli orizzonti. L’approccio iniziale è stato fondamentalmente sacramentario, con la presenza dei sacerdoti che portavano ai degenti i sacramenti. Poi è emersa l’esigenza di una pastorale per i medici e gli infermieri, ancora una volta grazie alla spinta di papa Wojtyla che creò il Pontificio Consiglio per gli Operatori sanitari. L’ultimo stadio, quello più recente, è stato il passaggio dalla pastorale sanitaria alla pastorale della salute: non era possibile solo focalizzarsi sulla malattia o sul mondo della cura, ma occorreva uno sguardo più ampio verso l’intera persona. Ecco perché adesso il nostro Ufficio non si occupa più unicamente della prossimità ai sofferenti e alle loro famiglie, o al comparto sanitario, ma affronta anche le questioni bioetiche, e in questi ultimi anni, su impulso di papa Francesco con la Laudato si’, ha a cuore la difesa del Creato: infatti la tutela dell’ambiente ha effetti immediati sulla salute.

Impegni sempre più complessi...

Sicuramente. Come testimoniano appunto le tematiche bioetiche che oggi toccano l’uomo dal concepimento alla naturale conclusione della vita. Si tratta di snodi che hanno imposto alla Chiesa di prendere atto dei numerosi cambiamenti sociali avvenuti

in questi anni. Poi è arrivata l’emergenza Covid, che ci spronerà a rivedere i paradigmi della pastorale della salute.

Quale l’eredità della pandemia?

Dopo un approccio paternalistico secondo il quale il malato si consegnava nelle mani dei medici e veniva preso in carico dal sistema, si è affermata l’idea della valorizzazione delle relazioni, anche attraverso la rete parentale e amicale, come elemento dei percorsi di cura. L’emergenza Covid, con la sua forza travolgente, ci ha fatto compiere un passo indietro con l’isolamento dei contagiati. Gli ultimi studi mostrano come la solitudine abbia aggravato le condizioni cliniche. Si parla di “long Covid”, ossia del tempo successivo alla ma-lattia dove si possono sviluppare sintomi di ansia, depressione o stress posttraumatico e nel 65% dei casi si registrano disturbi di salute mentale. In pratica ci stiamo rendendo conto che la cura biologica è, sì, la prima risposta necessaria ma le buoni relazioni possono attutire gli effetti del coronavirus.

Quali gli ambiti profetici del futuro?

La pastorale della salute continuerà ad avere il suo perno nelle strutture ma dovrà essere sempre più presente sui territori. La rivalutazione delle cure domiciliari implicherà un maggiore coinvolgimento delle parrocchie. Poi all’interno delle strutture sanitarie avremo la necessità di assistenti spirituali sempre più preparati ad affrontare anche le sfide bioetiche.

Questione vaccini anti-Covid. Anche fra i cattolici non mancano i contrari...

Benché non ci sia alcun obbligo, ripeto le parole del Papa che definisce la vaccinazione un atto di amore per se stessi e per gli altri. L’amore non può essere imposto. Certo, è un dovere morale per il cristiano fare tutto il possibile per prevenire i contagi.

Quasi un milione di firme per l’eutanasia legale. Che segnale arriva?

Lo slogan del referendum è “Liberi fino alla fine”. Ecco, dobbiamo anche offrire ai malati tutti gli strumenti a disposizione perché sia pienamente rispettata la loro dignità e possano essere liberi di continuare a vivere: in particolare, potenziando le cure palliative e applicando la legge 38 che da 11 anni è dimenticata. L’esperienza ci dice che, quando si è abbracciati, lo spettro dell’eutanasia si allontana, sosterrebbe papa Francesco.

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