UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLA SALUTE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Insieme a chi soffre, con la “compassione del Samaritano”

Lo stile della compassione «portando il dolore dell’altro»: cosa suggerisce oggi il tema scelto dal Papa per la Giornata mondiale del Malato 2026
29 Ottobre 2025

di don Massimo Angelelli

La vita pone spesso sfide che volentieri vorremmo evitare. Alcuni decidono di vivere nel modo più quieto possibile, facendo lo slalom tra eventi, persone, storie che li interrogano a alle quali non vogliono dare risposte. Altri accettano tutte le sfide, anche quelle altrui, perché sentono di poter avere tutte le risposte.

Quando la malattia irrompe nella vita delle persone spesso non si ha scelta. Puoi provare a ignorarla, a fuggire, oppure a negarla, nascondendola. Ma la patologia resta lì, in attesa di evolvere. Queste paure, più che comprensibili, sono le stesse che ci rallentano nei percorsi di prevenzione. Sembra che ignorando il corpo e la mente si possa vivere più tranquilli. I fattori di protezione e i percorsi di prevenzione sono fondamentali per non ammalarsi. È il modo migliore per prendersi cura di sé stessi e degli altri, in particolare delle persone a cui vogliamo bene.

A volte non si può girare lo sguardo dall’altra parte. Il dolore e la sofferenza, spesso in modo traumatico, prendono possesso del nostro tempo e dei nostri pensieri. La comunicazione di una diagnosi, un incidente accaduto o un trauma improvviso cambiano definitivamente il nostro cammino di vita, e non possiamo farci niente. I primi a cambiare siamo noi stessi, protagonisti nella malattia e nella sofferenza, poi subito dopo cambiano i nostri equilibri relazionali. Intorno a noi cambia tutto. E gli affetti, le amicizie e le relazioni vengono sottoposti a un grande stress test, una prova generale di tenuta alla quale non tutti sono pronti a resistere. E così emergono gli stessi sentimenti di paura sopra accennati: negazione, rifiuto, fuga. Ognuno di noi, di fronte a questi accadimenti, è chiamato a fare una scelta, costretto dalla storia a confrontarsi con le sfide. In particolare, una tra le sfide più ardue è confrontarsi con la malattia dell’altro, ancor di più se l’altro è la persona amata. Ogni persona malata stabilisce una relazione con la sua malattia, nei modi più diversi. Ma la sofferenza della persona che amo mi travolge perché genera in me un senso di impotenza. Non sono io a dover sopportare il male, ma l’altro con il quale vorrei vivere solo il bello e il bene.

La domanda sulla ragione del male è una costante della storia dell’umanità e dei credenti. Le risposte si sono succedute nella storia, nessuna però mai pienamente soddisfacente. La sfida del dolore innocente interroga ogni giorno le nostre coscienze e, nella preghiera, la domanda viene rivolta a Dio sotto forma di invocazione, accusa o intercessione. La domanda “perché” accompagnerà tutta la storia dell’umanità senza trovare una risposta compiuta, perché la piena risposta è in Dio, e potremo incontrarla solo nel giorno primo della nostra vita beata nell’eternità.

Dobbiamo forse smettere di cercare la verità e fermarci passivamente per il tempo che ci resta o possiamo fare qualcosa? È possibile trovare un modo per affidarci a Dio nella fede ma al tempo stesso agire per il bene di coloro che sono malati e soffrono?

Una risposta viene dal Vangelo, e papa Leone ce la propone come tema della prossima Giornata Mondiale del Malato 2026 (l’11 febbraio, come sempre). Con il titolo «La compassione del Samaritano: amare portando il dolore dell’altro», annunciato pochi giorni fa, ci propone un esempio nell’icona evangelica, uno stile e un destinatario.

Nel noto approccio del Samaritano c’è il superamento della paura e della distrazione di chi lo aveva preceduto. C’è un guardare per vedere le necessità dell’altro, un soffermarsi modificando i propri progetti e programmi, c’è un perdere del tempo per uno sconosciuto. In una società in cui il tempo si è ristretto perché sovraffollato di cose apparentemente necessarie sembra che non ce ne sia abbastanza per gli altri. Siamo così concentrati sui nostri ritmi e obiettivi che passiamo oltre ignorando chi ci sta intorno. Siamo informati su tutto, non abbiamo tempo per nessuno. Ci coinvolgiamo facilmente per tutto ciò che consideriamo ingiusto purché non modifichi il nostro stile di vita. Il Samaritano sospende per un po’ i suoi programmi perché c’è un’altra persona che ha bisogno di aiuto. Chiediamoci quanto siamo disposti a farci coinvolgere dalla sofferenza altrui. I buoni pensieri e le buone parole sono utili, ma non indispensabili a chi è nel bisogno.

Lo stile di vicinanza al prossimo è immerso nell’amore. Parola difficile da declinare, confusa tra mille significati e accezioni, può recuperare il suo significato primo solo se ricondotta al modello originale, quello con cui Dio è totalmente innamorato di ogni persona. Da quel modello di amore derivano gli atteggiamenti di pienezza, gratuità, fedeltà, perché quando amiamo sappiamo farlo in maniera completa, che sia gratuito senza aspettare il contraccambio, che sia fedele anche quando il perdono e la riconciliazione sono necessari per testimoniare di esserci comunque e sempre. Posso amare tutti pienamente come Dio? Una sfida che sembra impossibile diventa realizzabile con il Suo aiuto. Amare il prossimo, chi ci viene incontro nella vita, tutti coloro che il Signore ci pone affianco, è possibile se adottiamo il suo stile di amore. I destinatari del nostro amare sono sicuramente presenti nella cerchia più prossima della mia vita. Ma tutti gli altri, quelli che incontro per la via, sono parimenti destinatari del mio agire amorevole. Mi coinvolgo, mi muovo, ascolto, mi faccio prossimo nell’amore compassionevole. Perché, se resto solo, la sofferenza diventa insopportabile, ma se ho qualcuno vicino che mi accompagna, anche solo per un tratto, allora mi sentirò sollevato, perché avrò qualcuno con cui condividere il peso da portare.

Scarica l'articolo di Avvenire