UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLA SALUTE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

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In ascolto della santità

La storia dei santi testimoni della sofferenza e della cura
30 Maggio 2023

Beato Alberto Marvelli: l’operaio della carità

Nato a Ferrara il 21 marzo 1918. Secondogenito di sei fratelli, in una famiglia veramente cristiana. Frequenta l’Oratorio salesiano e l’Azione Cattolica, dove matura la sua fede con una scelta decisiva: “il mio programma si compendia in una parola: santo”.

Prega con raccoglimento, fa catechismo con convinzione, manifesta zelo, carità, serenità. E’ forte di carattere, fermo, deciso, volitivo, generoso; ha un forte senso della giustizia. Ha un grande ascendente fra tutti i compagni. E’ un giovane sportivo e dinamico: ama tutti gli sport, ma la sua più grande passione sarà la bicicletta, anche come mezzo privilegiato del suo apostolato e della sua azione caritativa.
All’Università matura la sua formazione culturale e spirituale nella FUCI. Sceglie come modello Piergiorgio Frassati. Conseguita la laurea in ingegneria meccanica il 30 giugno 1941 Alberto deve partire militare.

L’Italia è in guerra; una guerra che Alberto condanna con lucida fermezza: “scenda presto la pace con giustizia per tutti i popoli, la guerra sparisca sempre dal mondo”. Congedato, perché ha altri tre fratelli al fronte, lavora per un breve periodo alla FIAT di Torino.

Dopo i tragici eventi con l’occupazione tedesca del 1943, Alberto torna a casa a Rimini. Sa qual è il suo compito: diventa l’operaio della carità. Dopo ogni bombardamento è il primo a correre in soccorso ai feriti, a incoraggiare i superstiti, ad assistere i moribondi, a sottrarre alle macerie i sepolti vivi. Ma non si limita solo a questo. Alberto distribuiva ai poveri tutto quello che riusciva a raccogliere, materassi, coperte, pentole. Si recava dai contadini e negozianti, comprava ogni genere di viveri. Poi in bicicletta, carica di buste, andava dove sapeva che c’era fame e malattia. A volte tornava a casa senza scarpe o senza bicicletta: aveva donato a chi ne aveva più bisogno. Salvò anche molti giovani dalle deportazioni tedesche. Riuscì, con una coraggiosa ed eroica azione, ad aprire i vagoni, già piombati e in partenza nella stazione di Santarcangelo e liberare uomini e donne destinati ai campi di concentramento.

Dopo la liberazione della città, il 23 settembre 1945, si costituì la prima giunta del Comitato di Liberazione. Fra gli assessori c’è anche il suo nome: non è iscritto ad alcun partito, non è stato partigiano: ma tutti hanno riconosciuto ed apprezzato l’enorme lavoro da lui compiuto a favore degli sfollati.

E’ giovane, ha solo 26 anni, ma ha concretezza e competenza nell’affrontare i problemi, il coraggio nelle situazioni più difficili, la disponibilità senza limiti. Gli affidano il compito più difficile: la commissione alloggi, che deve disciplinare l’assegnazione degli alloggi in città, comporre vertenze, requisire appartamenti, non senza inevitabili risentimenti. Poi gli affidano il compito della ricostruzione, come collaboratore della Sezione distaccata del Genio Civile.

Quando a Rimini rinascono i partiti, si iscrive al partito della Democrazia Cristiana. Sentì e visse il suo impegno in politica come un servizio alla collettività organizzata: l’attività politica poteva e doveva diventare l’espressione più alta della fede vissuta. Nel 1945 il Vescovo lo chiama a dirigere i Laureati Cattolici.

Il suo impegno si potrebbe sintetizzare in due parole: cultura e carità.
“Non bisogna portare la cultura solo agli intellettuali, ma a tutto il popolo”: così dà vita ad una università popolare. Apre una mensa per i poveri. Li invita a messa, prega con loro; poi al ristorante scodella le minestre e ascolta le loro necessità. La sua attività a favore di tutti è instancabile: è tra i fondatori delle ACLI, costituisce una cooperativa di lavoratori edili, la prima cooperativa “bianca” nella “rossa” Romagna.