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Eutanasia, la rivolta dei medici britannici

Avvenire - è Vita, la persona e la cura
28 Ottobre 2021

di Roberto Colombo

Dopo 15 anni di opposizione ai tentativi di legalizzare ogni forma di eutanasia, la British medical association (Bma, la principale associazione dei medici britannici) ha assunto una nuova posizione ufficiale: non si schiererà contro l’«Assisted dying bill», il disegno di legge appena ripresentato alla Camera dei Lord (il primo tentativo risale al 2013, bocciato due anni dopo con 330 voti contrari su 448) che prevede l’introduzione di procedure per la «morte medicalmente assistita». Non la cura sanitaria del morente fino al suo decesso a causa naturale per senescenza o patologia irreversibile, ma l’anticipazione intenzionale del tempo della morte mediante intervento farmacologico e/o interruzione dell’assistenza clinica alle funzioni vitali. La decisione della Bma di assumere un profilo di 'neutralità' è stata presa con il 49% dei medici a favore, il 48% contro e il 3% di astenuti. Subito molti medici inglesi hanno iniziato a manifestare aperto dissenso. Un sondaggio promosso dalla stessa Bma ha mostrato come i 'medici in trincea' che assistono anziani e malati terminali, praticano cure palliative e lavorano come geriatri o medici di medicina generale si oppongono a suicidio assistito ed eutanasia.

Favorevoli alla legge, o addirittura propugnatori, sono invece i medici che esercitano la professione in altre specialità cliniche (che solitamente non assistono pazienti in condizioni così gravi o senza aspettative di remissione della malattia), quelli impegnati nella ricerca biomedica (lontana dal letto del paziente) e gli studenti di medicina.

Nel tentativo di mediare, la Bma ha deciso di non sostenere campagne sociali o schieramenti politici a favore o contro la legge, senza però scegliere il silenzio completo: «Rappresenteremo le opinioni, gli interessi e le preoccupazioni espresse dai nostri membri». Un’apparente «neutralità »: ma per un medico è possibile non prendere posizione di fronte a una legge che stravolge lo scopo (laicissimo) della propria professione? Curare la salute e la vita del paziente in qualunque condizione clinica egli si trovi e in ogni stagione o situazione della sua vita, anche la più drammatica e dolorosa, è componibile con la richiesta di collaborare attivamente a porre fine all’esistenza terrena di una persona? Non si può affermare e abbracciare il senso e il fine di una professione cui ci si è preparati con lunghi anni di studio e tirocinio e alla quale si dedicano decenni di impegno lavorativo e passione umana, e al medesimo tempo accettare che tutto questo venga negato attraverso il coinvolgimento del

medico in azioni od omissioni che non curano la salute né tutelano la vita del paziente.

Per questo, alla vigilia della discussione dell’«Assisted dying bill» alla Camera dei Lord (il 22 ottobre), 1.680 professionisti sanitari, studiosi e studenti di medicina hanno inviato una lettera aperta ai Pari d’Inghilterra e al Segretario di Stato per la Salute e gli Affari sociali Sajid Javid evidenziando che «il passaggio dalla difesa della vita all’eliminazione della vita è enorme, e non può essere minimizzato». Questa legge «manderebbe un chiaro messaggio ai nostri pazienti fragili, anziani e disabili circa il valore che la società riconosce alle loro vite. Alcuni pazienti non considererebbero mai il suicidio assistito se non venisse loro offerto. Non toglieremo mai la vita ai nostri pazienti, nemmeno se ce lo chiedessero».

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