Quando emerge un bisogno di salute, quanto percepisco un dolore, il primo atteggiamento che nasce è chiedere un aiuto, avere qualcuno che ti aiuti a gestire quel momento. È una reazione spontanea che nasce dalla natura umana che è essenzialmente relazionale. La fragilità chiede di essere curata. Se il problema è serio mi affido ad un professionista disponile, come quelli che trovo in un pronto soccorso. Dal nome nasce la caratteristica: ho bisogno di un soccorso pronto per essere aiutato. Se il soccorso non è pronto nasce in me la frustrazione di chiedere aiuto e non essere ascoltato. Le persone hanno perso fiducia nel sistema di cura e soccorso e quindi manifestano stanchezza e insofferenza.
Ma in realtà mai e poi mai possono essere giustificati atti di violenza di qualunque genere, verbale, fisica, mediatica, contro coloro che hanno scelto come professione l’aiuto a chi ne ha bisogno. Si lavora in condizioni precarie, con poco personale, con turni faticosi, con apparecchiature che a volte non funzionano, in spazi non adeguati. Non si può chiedere l’impossibile, pretendere non è un verbo utilizzabile.
Chiunque vorrebbe un servizio efficace, attenzione, cure adeguate e invece si ritrova ad aspettare ore parcheggiati su una scomoda sedia per essere almeno ascoltati e visitati. C’è un conflitto di doveri e diritti non possono essere esercitati perché non ci sono le condizioni. Il problema non è soltanto gestionale ma anche culturale. Da una parte il Servizio Sanitario Nazionale deve ripensarsi radicalmente a fronte di scenari molto diversi dalla sua fondazione, offrendo tempi certi e attenzione reale alle emergenze e urgenze.
Deve inoltre creare riferimenti certi e disponibili per tutte quelle richieste che non necessitano di un passaggio in pronto soccorso, in quanto codici bianchi e verdi sortiscono l’unico effetto di intasare e rallentare le cure per chi è veramente in urgenza. Tutti noi non possiamo immaginare che per problemi, che oggettivamente sono rinviabili, possiamo pretendere quello che non si può offrire. Rimane necessaria un’azione comune, sistema e popolazione, per ripensare un equilibrio che si è perso.