La volontà di donare i propri organi rappresenta un gesto di sensibilità e di generosità. Spesso parliamo di possibilità di donare dimenticando che si può anche ricevere un organo, parte di tessuto, cellule, e che l’atto del donare porta in sé un valore etico-civico-solidaristico oltrepassando concetti quali razza o religione. Ricevere, infatti, diventa l’altra faccia della medaglia del Donare e insieme rappresentano possibilità di vita e di sopravvivenza.
Quando parliamo di trapianti, del diritto a donare e a ricevere, bisogna ricordare che c’è una zona misteriosa tra il vivere e il morire. La medicina dei trapianti ci costringe a riflettere attentamente sulla definizione di vita e di morte.
Nel secolo scorso non sarebbe stato possibile distinguere tra morte cerebrale e arresto cardiaco, mentre oggi lo è. A ciò va aggiunto il contributo della medicina dei trapianti nel definire la morte in modo da poter disporre di un numero sempre maggiore di organi sani. Una volta la vita e la morte erano momenti ben distinti: si nasceva quando si usciva dal grembo materno, si moriva quando si cessava di respirare. Oggi, in seguito allo sviluppo tecnologico e scientifico, la morte ha subito una trasformazione e non è più un evento ma un fenomeno che occorre definire. È su questa definizione che il dibattito è sempre accesso ed è a questo dibattito che bisogna apportare un contributo giusto, equilibrato, serio. In questo scenario si apre una questione antropologica. L’uomo, nell’era della scienza e della tecnica, ha dovuto rivedere il concetto di corpo e il senso “demizzante” di alcuni organi ad alta valenza simbolica. Il cuore, ad esempio, da simbolo dell’affettività e della dimensione di profondità della persona è stato ridotto alla funzione di pompa che va sostituita quando è difettosa come un pezzo di ricambio di qualsiasi elettrodomestico.
Spesso, la disinformazione e il timore di vedere l’essere umano come una macchina che si può montare e smontare a piacimento induce una paura immotivata. Bisogna allora ricordare che a chi dona non viene più sottratto nulla, egli non viene più privato di alcunché ma al contempo mette a disposizione di un’altra persona, di un altro essere umano la possibilità di continuare a vivere.
Inoltre, l’opinione pubblica sembra avere abbandonato l’entusiasmo e l’interesse degli anni ’80 e ’90, quando si rimarcava l’importanza della “donazione degli organi” come possibilità di cura. Se da un lato tale inversione può essere riconducibile a comportamenti condannabili da un punto di vista morale oltre che giuridico quali, ad esempio, commercio di organi e prelievi non autorizzati, dall’altro, bisogna tenere presente che questi episodi, seppur estremamente gravi e riprovevoli, costituiscono una percentuale minima e non rientrano nella categoria della donazione e dei trapianti. Purtroppo, spesso, i mezzi di informazione creano confusione e rimandano un’immagine distorta della realtà anziché contribuire a una corretta informazione e alla formazione di una coscienza civica. Si diffonde, in tal modo, tra l’opinione pubblica un’immagine grossolana della pratica dei trapianti. Il coma viene confuso con la morte cerebrale, si accredita la fantasia di pratiche di prelievo di organi fatti in modo rudimentale, cresce la diffidenza verso ogni forma di trapianto, i medici che li eseguono sentono aumentare disagio e malessere, la disponibilità a donare decresce e in coda, ma non per ultimo, il possibile ricevente vede sparire la sola possibilità che gli resta per tenere accesa la fiamma della speranza e la luce di una possibile prospettiva di vita.
Bisogna ripartire da un dibattito sereno, chiaro, univoco, che abbia come solo e unico scopo evidenziare i valori positivi sottesi alla pratica del “Donare”. Bisogna ripartire dal “Dono” e dalle dinamiche che questo termine intrinsecamente contiene. Anzi, il dono costruisce “amicizia” in un mondo frantumato ed individualista. Questo è un lavoro necessario che tornerà utile a tutti gli attori/protagonisti che ruotano attorno al tema del trapianto di organi: società-famiglia-medici-ricevente/donatore. Perché il trapianto di organi avvenga in un contesto di alta idealità, bisogna che la pratica sia preservata da ciò che può inquinare la nobiltà, promuovendo la cultura del Dono. Va posto in primo piano questo gesto nobile come momento di grande libertà, consapevolezza, gratuità. Come cristiano sento forte il monito di Gesù : “ l’amico è colui che dona la sua vita per gli altri” e, con le parole dell’antropologo Mauss si potrebbe dire: «Il dono ha la funzione di fatto sociale totale, esso mette in moto la totalità della società e delle sue istituzioni. Il dono è espressione dello scambio sociale e costituisce la precondizione perché una società sia possibile». Il dono, inteso in senso ampio, non solo come regalo, ma includendo ogni bene e servizio, dovrebbe tornare ad essere elemento centrale di ogni organizzazione sociale, esso trova, inoltre, la sua peculiarità nel non avere un destinatario. Il destinatario di un organo donato, solitamente non sa da dove e da chi arrivi il dono, non è tenuto a contraccambiare e non deve sentire il peso del debito. Solo questo modello e modalità di “dono” nelle nostre complesse e organizzate società può garantire modelli minimi di uguaglianza ed eliminare le disparità più stridenti legate al ceto, alla nazionalità, alla razza.
Va incentivato il circuito della donazione, va trovato spazio per l’informazione, va ricreata una maggiore consapevolezza, va ripercorso il tragitto della solidarietà, va affermato il valore della sussidiarietà, va rimarcato il concetto di salute e va riscritto il termine bisogno. Donazione, informazione, consapevolezza, solidarietà, sussidiarietà, bisogno. Sono questi i punti su cui far poggiare il tema del donare come dovere civico-giuridico-etico.
Card. Francesco Montenegro
Presidente della Commissione Cei per il servizio della carità e la salute