L’autismo è una condizione che, quando presente, caratterizza la persona per tutta la vita con manifestazioni a intensità variabile e che nei primi anni, in pochi casi, possono evolvere in forme così lievi da non essere più clinicamente significative. Si caratterizza per una peculiare modalità di comunicazione sociale e inter-personale e per una specifica organizzazione di interessi e attività che rende complessa e a volte molto difficile una piena inclusione sociale delle persone che presentano una simile condizione.
Queste peculiarità trovano origine in condizioni neurobiologiche tuttora non del tutto note, in cui sono coinvolti sia aspetti genetici che complesse influenze epigenetiche su cui la ricerca sta indagando per trovare possibili meccanismi patogenetici, premessa per futuri interventi terapeutici. È una condizione che si presenta con fenomeni, segni e sintomi molto differenti tra loro, con differenti gradazioni di intensità che determinano gravità cliniche diverse, in tutte le età della vita. Non raramente sono associate condizioni patologiche co-occorrenti: quadri sindromici, disabilità dello sviluppo intellettivo, disturbi del neurosviluppo, epilessia, disturbi del sonno e gastrointestinali, solo per citare i più frequenti, che in alcuni casi concorrono a determinare condizioni cliniche molto gravi e complesse. Anche le intercorrenti patologie internistiche, quando sopraggiungono nei quadri più gravi, sono di non semplice gestione e mettono in difficoltà famiglie e strutture sanitarie. L’insorgenza è precocissima, anche se nelle forme più sfumate l’evidenza clinica si raggiunge solo nel corso dello sviluppo, in quanto tuttora la diagnosi è solo clinica e non ci sono esami strumentali in grado di identificare questa condizione: l’età media della prima diagnosi supera ancora i 3 anni di età, quando sarebbe invece auspicabile riuscire a individuare questa condizione entro i 24 mesi, e comunque prima dei 3 anni.
L’autismo, in quanto condizione che abbraccia tutte le dimensioni del vivere, è una sfida complessa che deve coinvolgere tutta la società e che vede coinvolti in prima linea e per molti e peculiari aspetti i servizi sanitari e socio-sanitari: è necessaria una competenza clinica molto specifica e specialistica per arrivare con sicurezza a una diagnosi precoce così da poter iniziare rapidamente i percorsi di presa in carico e i necessari interventi abilitativi coinvolgendo tempestivamente e precocemente la famiglia.
Per quanto riguarda le modalità di presa in carico e gli interventi abilitativi è necessario fare riferimento a modelli evidence based, ossia a interventi che abbiano una evidenza di efficacia scientificamente dimostrata: devono essere interventi precoci, rispettosi della naturale evoluzione del bambino, specifici e intensivi, specie nelle prime fasi della crescita, o quando si manifestano situazioni problematiche in particolare nella fase adolescenziale, e che rispettino anche i valori di riferimento che ogni famiglia possiede: aspetto molto importante, anche se difficile, in un contesto sempre più multiculturale e multietnico.
Il Tavolo di coordinamento delle strutture che si occupano di autismo tra istituzioni che fanno riferimento alle Chiesa cattolica, costituitosi all’interno dell’Ufficio della pastorale della salute della Cei e che dà risposte competenti a parecchie migliaia di persone con autismo in Italia, sta lavorando per migliorare sempre più il livello già molto elevato di competenze messe a disposizione, per una adeguata presa in carico che deve essere differenziata rispetto sia all’età sia ai diversi setting di intervento. Il riferimento adottato dal coordinamento sono le linee guida nazionali e internazionali, lo sforzo continuo è quello di agire sulla formazione specifica dei propri operatori, sapendo che al proprio interno già è presente quella forte spinta motivazionale che caratterizza tutte le strutture private degli enti del terzo settore che fanno riferimento alla Chiesa.
Purtroppo, la sofferenza e la solitudine in cui ancora troppe famiglie sono lasciate è elemento di grave preoccupazione: da troppi anni il Servizio sanitario italiano ha trascurato i servizi socio-sanitari per disabili e i centri di riabilitazione dell’età evolutiva. Trascuratezza che deriva non solo da mancanze di risorse economiche ma anche da un modello organizzativo sviluppato per rispondere ai bisogni di cura delle patologie acute e che ha trascurato i territori e i bisogni complessi che proprio una condizione come l’autismo evidenzia.
L’autismo deve diventare il paradigma di un moderno sistema di welfare family centered, dove tutti i servizi sono interconnessi a rete attorno al bisogno della persona e della famiglia e dove nessuno opera da solo. Sono però necessarie risorse adeguate e modelli organizzativi sviluppati appositamente per il complesso mondo delle persone con autismo, specie in età evolutiva: requisiti che continuano a essere carenti da molto tempo, incomprensibilmente, specie nei modelli organizzativi, ostinatamente sempre più burocratizzati e trascuranti le realtà del terzo settore. Proprio in una situazione di difficoltà dovrebbero essere valorizzate tutte le risorse presenti sul territorio e nei servizi, dando pari dignità anche ai servizi del privato accreditato e chiamandoli a co-progettare modelli di risposta al bisogno, assieme ai servizi pubblici. Proprio chi coniuga competenza – come la survey effettuata sui nostri centri prima della pandemia aveva inequivocabilmente dimostrato – e passione per la persona che soffre (specifica qualità che è all’origine dell’impegno delle strutture cattoliche che partecipano al Tavolo autismo) può contribuire a dare risposte concrete ai bisogni di queste famiglie e a individuare assieme modelli di risposta incarnati nelle esperienze vissute nei territori.
Abilitare le persone con autismo, sostenere e accompagnare i genitori, costruire assieme contesti territoriali disponibili all’inclusione e a farsi provocare dalle ricchezze che le persone con autismo sanno offrire e donare agli altri, in una logica di welfare inclusivo e circolare, dovrebbe essere la sfida cui le istituzioni andrebbero chiamate: così non è.
I nostri centri si stanno impegnando a sviluppare risposte adeguate ai bisogni delle persone con autismo, con attività ambulatoriali, domiciliari, di piccolo gruppo o in ciclo diurno: quando serve, anche di tipo residenziale, specie nelle situazioni più complesse, o quando le famiglie e i contesti non sanno più far fronte alla situazione: anche in questi casi, non solo con la necessaria competenza specifica ma anche con una modalità aperta alla piena integrazione e inclusione nei territori, per essere assieme parte di un tessuto sociale accogliente. Nella recente Giornata della consapevolezza (2 aprile) il Tavolo di coordinamento autismo della Cei vuole essere accanto alle tante persone con autismo e alle loro famiglie, per testimoniare una volta di più la vicinanza e la nostra sollecita solidarietà, e anche la nostra sofferenza nel vedere trascurati i loro bisogni, soffocati da una burocrazia opprimente che, mentre toglie risorse preziose in formalismi inutili, ambisce a farsi riconoscere come 'custode della giustizia e del bene'. Assieme a pediatri, servizi di Npia, scuola, realtà sociali e territoriali, siamo pronti a dare il nostro contributo, con entusiasmo e competenza, nella convinzione che se insieme saremo capaci di offrire risposte migliori alle persone con autismo, partendo dai bambini e da quelli più piccoli, con nuovi modelli di welfare inclusivo, colorati di blu, avremo servizi migliori per tutti.
Tavolo sull’autismo presso l’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute della Cei
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«L’assistenza dei pazienti deve diventare il paradigma di un moderno sistema di welfare centrato sulla realtà familiare, con tutti i servizi in rete attorno alle necessità personali» «Una condizione come questa, che abbraccia ogni dimensione del vivere, è una sfida complessa che riguarda tutta la società e vede coinvolti in prima linea i servizi socio-sanitari»