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L’allarme. Per l’Aris le nuove tariffe sanitarie sono insostenibili

Il presidente delle strutture sanitarie cattoliche, padre Bebber: «Con il nuovo Nomenclatore rimborsi insufficienti, meno prestazioni e più liste d'attesa».
19 Marzo 2024

Si avvicina l’entrata in vigore del nuovo Tariffario per le prestazioni specialistiche e ambulatoriali, prevista per il prossimo 1° aprile, e il mondo della sanità privata accreditata è in fermento. Infatti se da un lato i nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea) approvati nel 2017 hanno introdotto nuove prestazioni a disposizione dei pazienti nel Servizio sanitario nazionale (Ssn), frutto di avanzamenti tecnico-scientifici, dall’altro la rimodulazione delle tariffe ha portato a una riduzione dei rimborsi riconosciuti per molte prestazioni. Che rischiano di mettere in crisi molte strutture, specialmente quelle non profit.

Di qui la protesta di diversi attori della sanità privata, in particolare da parte di coloro che, come l’Associazione religiosa istituti socio-sanitari (Aris), sono accreditati nel servizio sanitario pubblico, e hanno quindi gli stessi doveri, ma non possono contare sugli stessi finanziamenti. L’ultimo allarme è stato lanciato dal presidente dell’Aris, il camilliano padre Virginio Bebber, che intravvede grandi rischi per i pazienti dall’introduzione del nuovo Nomenclatore tariffario: «Le liste di attesa si raddoppieranno».

Per questo domani è in programma un incontro di una rappresentanza dell’Aris con il ministro della Salute Orazio Schillaci con l’intento di illustrare le ragioni della forti preoccupazioni della sanità non profit di area cattolica, che con le sue 262 strutture (con 40mila posti letto e 100mila dipendenti), garantisce tra i 10 e 12 milioni di prestazioni ambulatoriali l’anno, offrendo un apporto insostituibile al sistema sanitario pubblico.

«Le tariffe – spiega Bebber – ovvero quanto viene riconosciuto alle strutture che erogano gli esami, sono assolutamente inadeguate, irrealistiche e porteranno in futuro enormi problemi. Un esempio per capire meglio: le visite specialistiche (cardiologiche, ortopediche, neurologiche, ecc.) hanno una tariffa di 22 euro, cifra che è insufficiente a coprire i costi del medico specialista, del personale infermieristico, del servizio di prenotazione, delle utenze e delle pulizie. Ogni visita genera una perdita almeno di 25 euro. Sono molte le prestazioni che hanno tariffe che non coprono neanche i costi diretti di produzione, anzi, rispetto al tariffario precedente, si ha una riduzione complessiva del 30% (facendo il calcolo su tutte le prestazioni). In sintesi: è un sistema non sostenibile».

Il rischio, quindi, secondo Aris, è che l’abbassamento medio dei rimborsi – combinato con il tetto di spesa stabilito per le strutture sanitarie non profit – conduca a una riduzione del numero di prestazioni effettuate, e quindi a un allungamento delle liste d’attesa. Un altro possibile risvolto è che le Regioni con un bilancio più solido possano garantire meglio i rimborsi, a differenza di quelle in difficoltà finanziaria (o in piano di rientro), generando così diseguaglianze nell’erogazione dei Lea.

A essere preoccupati per il nuovo Nomenclatore tariffario sono anche i rappresentanti di altre categorie della sanità privata: ospedali for profit (Aiop), ambulatori, piccole industrie, che paventano possibili risvolti di natura occupazionale, se i tagli metteranno in difficoltà le imprese.

Il mese scorso, il ministro della Salute, Orazio Schillaci, precisando che il lavoro con le Regioni sul nuovo tariffario che risale al 2017 è ancora in corso, aveva ammesso: «C’è stato ovviamente un abbassamento del prezzo di alcune prestazioni, penso alla medicina del laboratorio o ad alcune prestazioni specialistiche».

Ma aveva aggiunto che «ci sono dei fondi, soprattutto dall’anno prossimo, che possono essere utilizzati sia per introdurre le prestazioni, sia per aumentare il rimborso per alcune di queste che sono state limate». Concludendo con l’invito a collaborare: «Siamo al tavolo con tutti i rappresentanti, anche soprattutto della medicina del laboratorio, per trovare delle soluzioni condivise, sempre nel primario interesse dei pazienti».

Tuttavia non aveva prodotto risultati, un mese fa, un incontro al ministero della Salute con i rappresentanti dell’Unione ambulatori e poliambulatori (Uap) – che comprende Confapi Salute, università e ricerca, Anisap, Federlab Italia, Associazione imprese sanitarie indipendenti (Aisi), Unindustria, Fenaspat e Federlazio – teso a chiedere un rinvio dell’entrata in vigore delle nuove tariffe.

E il prossimo 20 marzo è in programma a Roma un altro incontro delle associazioni di categoria rappresentative degli ambulatori e poliambulatori privati per valutare i possibili esiti di un tariffario che, secondo Uap, «bloccherà l’abbattimento delle liste d’attesa con una drammatica ripercussione sui 36mila posti di lavoro».

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