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Ragazzi, la “canna” non è mai leggera

Nella letteratura scientifica sempre più evidenze della pericolosità del consumo di cannabis
11 Gennaio 2024

di  VIVIANA DALOISO

Attacchi di panico, ansie, psicosi. Il grande male che sta scavando un abisso nell’esistenza dei nostri ragazzi, e che dal Covid in avanti ha fatto suonare un campanello d’allarme sulla fragilità della loro salute mentale, ha radici profonde che psicoterapeuti e neuropsichiatri negli ultimi mesi hanno cercato di mettere a fuoco mescolando gli esiti dell’isolamento sociale, l’incapacità di relazionarsi e gestire le responsabilità imposte da un mondo adulto sempre più distante, la sovraesposizione tecnologica. Non basta. Perché se è vero che il 28% degli adolescenti in età scolare fa uso di stupefacenti (che per 600mila di loro è la cannabis), l’11% di psicofarmaci e addirittura il 50% di alcol, mescolandolo alle sostanze e alle pasticche, al computo delle cause di tanto disagio bisognerebbe trovare il coraggio di aggiungere una volta per tutte il capitolo dipendenze.

L’ argomento, invece, risulta per lo più dimenticato. Sul piano politico il dibattito resta viziato da strumentalizzazioni e slogan sempre uguali a sé stessi: l’ultima trovata è quella di una proposta di legge di iniziativa popolare per la coltivazione domestica di cannabis, promossa dalle associazioni radicali. Già trentamila le firme, raccolte con i soliti slogan: che non fa male (anzi, che farebbe persino bene), che l’uso personale deve essere consentito, che in altri Paesi si può acquistare e consumare nei “club” mentre da noi («proibizionisti») no.

Argomenti persuasivi sul fronte di un’opinione pubblica ormai anestetizzata agli allarmi sulle cosiddette “droghe leggere”, che leggere non sono, senza che ai più giovani venga spiegato il perché. Esagerazioni? Tutt’altro: i dati appena diffusi dal Ministero della Salute sulla presa in carico di chi fa uso di sostanze nel nostro Paese (quasi 130mila persone nel 2022) evidenziano come oltre il 70% dei giovanissimi siano assistiti nei Serd proprio per dipendenza da cannabis. Due su tre.

Depressione e psicosi legate al suo consumo i primi scogli da affrontare, proprio come avviene negli ospedali e nei Pronto soccorso, dove oltre la metà degli accessi per abuso di sostanze finisce con una diagnosi psichiatrica. «Niente che stupisca – spiega Antonio Bolognese, professore onorario di Chirurgia generale del dipartimento Pietro Valdoni del Policlinico Umberto I e responsabile scientifico della Commissione istituita dall’Ordine dei medici di Roma e Provincia per la valutazione e la prevenzione dei danni delle cannabis sui ragazzi –. La verità è che la scienza di questi danni parla ormai da anni, per lo più inascoltata».

Q uella che è cambiata è la penetrazione massiccia dei consumi nelle nuove generazioni (con un crollo della “prima volta” fino agli 11 anni) e soprattutto la concentrazione di principio attivo della cannabis:

« Oggi quest’ultima risulta del tutto trasformata da coltivazioni intensive e modificazioni genetiche, con un contenuto di Thc che dal 5% è passato al 30% se non addirittura al 50%. È facile immaginare il danno incommensurabile, e sempre più spesso irreversibile, che una sostanza così pesante può avere su cervelli ancora in via di sviluppo, quali sono quelli dei nostri ragazzi fino ai 24 anni». Il consumo di cannabis interferisce infatti con la maturazione cerebrale, modifica comportamenti e capacità decisionali, causa deficit di memoria e di concentrazione (arrivando ad abbassare il quoziente intellettivo fino a 8 punti), altera la percezione della realtà e del pericolo, persino il coordinamento psicomotorio. «Di più, e ciò che è più grave: innesca danni permanenti sulla salute mentale aumentando il rischio di depressione, attacchi di panico e schizofrenia».

Sono le stesse conclusioni a cui è giunto lo scorso settembre lo studio pubblicato sul British medical journal, che per la prima volta ha messo a confronto oltre un centinaio di ricerche e pubblicazioni con l’obiettivo di misurare il rapporto tra rischi e benefici della cannabis. Dimostrando che «i primi superano di gran lunga i secondi » spiega Marco Solmi, lo psichiatra italiano che insegna all’Università di Ottawa e che ha coordinato il gruppo di lavoro. Impressionante il legame evidenziato dagli esperti tra il consumo della sostanza tra i più giovani e le alterazioni del funzionamento cognitivo che possono esporre con facilità agli incidenti stradali, a quelli sul lavoro, ma anche a tendenze autolesionistiche e suicidarie: tutti fenomeni che stanno travolgendo la cosiddetta “Generazione Z”, cresciuta sul piano culturale alla scuola della totale normalizzazione del consumo di cannabis. «La considerano una sostanza innocua, ciò che è manifestamente falso – sottolinea Solmi, che in Canada (dove la cannabis si può comprare liberamente) gestisce un centro per psicosi che accoglie sempre più ragazzi segnati dalle conseguenze di un consumo incontrollato – visto che scientificamente di innocuo non esiste nulla. Io non sono proibizionista, non ho ricette politiche, ma come uomo di scienza credo che i ragazzi vadano informati dei rischi che corrono. Di qui la necessità di questo studio, che lo dimostra al di là di prese di posizione ideologiche».

È quel che tenta di fare anche il professor Bolognese nelle scuole, nelle società sportive e persino negli oratori di Roma con il progetto pilota sostenuto dall’Omceo: «Proviamo ad arrivare prima, già tra gli 8 e i 10 anni, a spiegare ai più piccoli che cos’è la cannabis prima che la incontrino». Serve una consapevolezza che manca, anche tra gli adulti, «anche tra molti medici, che ignorano i rischi del consumo e non trattano più la tossicodipendenza come una malattia. La nostra attività di formazione è rivolta a tutti, con l’obiettivo di una presa di coscienza collettiva».

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