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Regioni, Stato, leggi: nessun “diritto” al suicidio

Avvenire - è Vita, la persona e la cura
23 Novembre 2023

di  GIOVANNA RAZZANO
Ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico Università La Sapienza di Roma Componente Comitato nazionale per la Bioetica

Con la campagna Liberi subito l’Associazione Coscioni stava incalzando le Regioni ad approvare leggi sul «diritto individuale e inviolabile» all’aiuto al suicidio, spingendo anche presidenti e giunte ad approvare mozioni a favore di ogni «richiesta di fine vita». Così è accaduto anche alla Regione Friuli Venezia Giulia, la quale tuttavia, di fronte alla proposta rubricata «Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019», si è premurata di chiedere un parere all’Avvocatura generale dello Stato.

Il responso è arrivato giovedì scorso: «L’eventuale approvazione della proposta in questione potrebbe esporsi a rilievi di non conformità al quadro costituzionale di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni». Si tratta di una conclusione del tutto prevedibile, cui erano giunti concordemente anche i costituzionalisti - L. Mazzarolli, F. Vari, M. Esposito e la sottoscritta, interpellati con le audizioni presso la Commissione III del Consiglio regionale del Friuli. Infatti, anche a prescindere dai contenuti, queste proposte riguardano il diritto inviolabile alla vita e i confini del reato di aiuto al suicidio. Incidono quindi sull’«ordinamento civile e penale», materia che la Costituzione assegna alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (articolo 117, secondo comma, lett. l, Costituzione). C’è poi un precedente significativo.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 262/2016, aveva già dichiarato incostituzionali due leggi della Regione Friuli che, disciplinando le dichiarazioni anticipate di trattamento, si proponevano l’obiettivo di precorrere il legislatore nazionale. La Corte, nell’annullarle, chiarì che interferivano nella materia «ordinamento civile» e su aspetti essenziali della identità e della integrità della persona, che richiedono uniformità di trattamento sul territorio nazionale, per ragioni imperative di eguaglianza. Nel caso attuale viene peraltro in rilievo anche l’«ordinamento penale», trattandosi di aiuto al suicidio. Se è vero, poi, che la proposta di legge interseca una pluralità di materie, come la «tutela della salute», di competenza legislativa concorrente fra Stato e Regioni, è altresì vero che in questi casi la determinazione dei principi fondamentali spetta comunque alla legge dello Stato. L’Avvocatura richiama anche quella giurisprudenza costituzionale secondo cui «il diritto della persona di essere curata efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica, e di essere rispettata nella propria integrità fisica e psichica deve essere garantito in condizione di eguaglianza in tutto il Paese, attraverso una legislazione generale dello Stato».

Che conseguenze trarre dal parere dell’Avvocatura? Sicuramente la delegittimazione di tutte le proposte di legge regionali per il diritto all’aiuto al suicidio, con le relative mozioni sul fine vita. L’attivismo politico, in questi ambiti, si scontra con la mancanza di competenza legislativa delle Regioni. Meritano poi una più attenta considerazione quei passaggi delle sentenze della Corte costituzionale n. 242/2019 e n. 50/2022 richiamati dal parere. Quelli in cui si dichiara che dall’articolo 2 della Costituzione e dall’articolo 2 Cedu discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo e non quello diametralmente opposto di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire. E quelli in cui si afferma che i reati di aiuto al suicidio e omicidio del consenziente assolvono allo scopo, di perdurante attualità, di tutelare le persone che attraversano difficoltà e sofferenze per proteggerle da una scelta estrema e irreparabile.

La stessa sentenza 242/2019, a torto ritenuta il fondamento di un presunto diritto all’assistenza al suicidio e talvolta persino considerata una sorta di legge di principio, chiarisce che la declaratoria «si limita a escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici. Resta affidato, pertanto, alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato». Quanto alle strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale, a esse la sentenza affida «la verifica delle condizioni che rendono legittimo l’aiuto al suicidio» e non doveri di organizzazione per l’erogazione di prestazioni e trattamenti di suicidio medicalmente assistito, come invece prevedono le proposte di legge elaborate dall’Associazione Coscioni.

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