UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLA SALUTE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Seguici su SOUNDCLOUD

Trapianti di cuore quel quarto d’ora in più

L'analisi
31 Maggio 2023

di ROBERTO COLOMBO

A Padova l’équipe guidata dal professor Gino Gerosa è riuscita il 15 maggio a ricondizionare e trapiantare con successo il cuore di un donatore fermo da tre quarti d’ora e ripartito nel torace del ricevente funzionando come un organo praticamente normale. Un importante passo in avanti per la cardiochirurgia, particolarmente in Italia, dove sono già stati eseguiti innesti di rene, fegato e polmone da donatore “a cuore fermo”. Era invece ritenuto impraticabile il trapianto dello stesso cuore non battente nel rispetto della norma nazionale che – per la certezza della morte del donatore, requisito imprescindibile per l’eticità dell’espianto – impone un tempo minimo di osservazione dell’arresto cardiaco di 20 minuti. La nostra legislazione, per promuovere la donazione favorendone l’accettazione sociale sul presupposto che chi vi consente esige garanzie sull’accertamento dell’avvenuto decesso, è giustamente più rigorosa di quella di altri Paesi, dove il “ no-touch period” (tempo in cui non si interviene sul donatore potenziale, registrando solo l’attività elettrica del miocardio) può scendere fino a 5 minuti (come nel Regno Unito, in Belgio e in Canada) o anche solo 2 (Australia). Anche il Comitato nazionale per la Bioetica nel 2010 si è espresso a favore del rispetto dei 20 minuti, ritenendoli una garanzia prudenziale necessaria allo stato attuale delle conoscenze cardiologiche. Questa esigenza di certezza clinica e di rispetto della persona ha sinora visto prevalere l’espianto cardiaco da pazienti il cui decesso è rilevabile attraverso criteri neurologici: la cosiddetta “morte cerebrale”, espressione confondente in quanto la morte dell’uomo non ammette aggettivi distintivi. La morte è una condizione singolare, per tutti i soggetti, che però può essere accertata secondo criteri differenti (e relative osservazioni e indagini strumentali) in relazione alle condizioni cliniche del paziente. Qualora si adotti il criterio neurologico, sono richieste almeno 6 ore di osservazione coadiuvata da indagini di laboratorio, elettrofisiologiche e per immagini, durante le quali il soggetto – che presenta conclamate lesioni encefaliche – è “a cuore battente” e in trattamento intensivo. Viene così garantita la perfusione del cuore e il suo stato ottimale per il trapianto.

Se, invece, la morte consegue ad arresto cardiaco, il medico verifica l’assenza del “tripode vitale” – respiro, circolazione ematica e attività nervosa (coscienza e riflessi) – cui si aggiunge, nel caso di un candidato donatore d’organi, il rilievo continuo dell’elettrocardiogramma per non meno di 20 minuti, durante i quali il cuore resta in “ischemia calda” (assenza dell’apporto naturale di sangue e ossigeno, ma a temperatura corporea nella sede toracica). A questo periodo, già critico, si deve aggiungere quello della “ischemia fredda” (inizia subito dopo l’accertamento della morte, che precede il prelievo, e va dall’avvio della perfusione con soluzioni fisiologiche fredde sino all’estrazione dell’organo dal sistema di refrigerazione prima dell’innesto nel torace del ricevente). Il tempo complessivo di ischemia cardiaca – che non comprende il periodo di ossigenazione extracorporea a membrana (Ecmo) normotermica – deve essere il più contenuto possibile per evitare danni all’organo e favorire il successo del trapianto.

La procedura recentemente introdotta nel Centro cardiochirurgico patavino è riuscita a far ripartire il battito del cuore nel ricevente 44 minuti dopo l’arresto anossico, riperfondendolo e facendo sì che iniziasse a pompare di nuovo il sangue, mentre, sinora, il limite massimo era ritenuto di 30 minuti circa. Se confermato da ulteriori interventi, un quarto d’ora in più può fare la differenza per consentire un numero maggiore di trapianti cardiaci in Italia, in condizioni di “cuore fermo” (casi non prevedibili di morte per arresto sistolico) e nel rispetto della prudenza dei 20 minuti, senza necessariamente dover attendere i meno frequenti casi di decesso accertabili con il criterio neurologico. Ancora una volta, la “buona scienza” sembra essere la migliore alleata dell’etica.

Scarica l'articolo di Avvenire