UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLA SALUTE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

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Cure palliative, un tempo di speranza

Dagli hospice cattolici nuovo impegno su formazione, sussidiarietà e accompagnamento nelle scelte di pazienti e famiglie
10 Novembre 2022

di DANILO POGGIO

L’hospice come luogo di celebrazione della vita, aperto alla speranza. È l’approccio che deve caratterizzare le strutture cattoliche dedicate alle cure palliative, come indicato nel documento «Una presenza per una speranza affidabile. L’identità dell’Hospice cattolico e di ispirazione cristiana», presentato nel 2020 dal Tavolo tematico costituito presso l’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute: scaturito dopo mesi di riflessioni e di analisi, il testo è una sorta di manifesto per i 21 hospice sparsi per l’Italia. Domani si celebra la Giornata nazionale delle Cure palliative (l’11 novembre, in omaggio alla solidarietà iconica di san Martino di Tour), ed è sempre più evidente la necessità di avere risposte convincenti alle domande legate al fine vita. Il Tavolo di lavoro degli hospice cattolici e di ispirazione cristiana costituito presso l’Ufficio Cei ha così deciso, qualche giorno fa, di strutturarsi in quattro gruppi di lavoro, per far fronte a sfide sempre più complesse, dal punto di vista sanitario e professionale, ma anche culturale.

Accanto all’ambito della comunicazione, essenziale per promuovere la piena dignità della vita fino all’ultimo istante, la formazione degli operatori è uno dei punti basilari, soprattutto in ambito relazionale, etico e spirituale. «Sono carenze molto grandi – spiega Annamaria Marzi, presidente e fondatrice dell’Hospice Madonna dell’Uliveto di Reggio Emilia – non solo per le strutture del fine vita ma in generale per tutto il sistema sanitario. La comunicazione delle notizie difficili, i colloqui con le famiglie, il supporto al lutto necessitano competenze specifiche che vengono spesso sottovalutate. A gennaio inizierà il Corso annuale di alta formazione “Senso e qualità del prendersi cura. Un approccio esperienziale”, promosso dalla Casa Madonna dell’Uliveto, in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano e il “Centro studi contesti, affetti e relazioni educative”, che prevede un periodo di servizio dentro la struttura, integrando la teoria con un’esperienza sul campo personalizzata ». Il paziente è al centro del lavoro di cura, ma è importante imparare a parlargli e soprattutto ad ascoltarlo, mettendosi nei suoi panni e comprendendo ciò che sta vivendo, anche dal punto di vista spirituale. «Quando ci si avvicina alla morte – osserva Marzi – ci si interroga nel profondo. Come operatori, siamo chiamati ad accompagnare i malati e le famiglie a trovare un senso in quello che stanno vivendo. Resta essenziale anche la formazione in ambito bioetico. Ci si trova davanti a grandi sfide ed è bene sviluppare la capacità di interrogarsi, discutendo dei casi concreti con specialisti».

Un altro gruppo di approfondimento legato al Tavolo di lavoro è dedicato all’aspetto legislativo delle cure palliative, in un settore che presenta una grandissima ricchezza di norme e regolamenti, a livello sia nazionale sia locale. «Una ricchezza – spiega Carla Dotti, direttore sanitario della Fondazione Sacra Famiglia (hospice di Inzago) – che comporta anche importanti differenze territoriali, con situazioni diverse, maturate in tempi diversi. Per questo, vogliamo cercare di analizzare e armonizzare servizi differenziati, cercando di valorizzare le iniziative migliori, le best practices, puntando a una coerente omogeneità. Le cure palliative sono servizi di prossimità ed è giusto che avvengano in continuità il più vicino possibile a dove il paziente ha trascorso l’intera vita, vicino ai suoi affetti ». Dal punto di vista legislativo, il gruppo di lavoro intende anche studiare l’evoluzione nel riconoscimento delle proposte sussidiarie nel settore socio-sanitario. «In Italia – continua Dotti – il privato non profit è molto rappresentato e la presenza cattolica è radicalmente diffusa. Riteniamo che il legislatore dovrebbe considerare, valorizzandolo, questo particolare apporto che viene dato alla sanità nazionale da decenni, fin dall’inizio della storia del Paese. Anche a causa della pandemia, l’attenzione di tutti è focalizzata sul mondo della salute. Spesso però vengono dimenticate le fragilità: non si risolvono i problemi sanitari senza considerare gli aspetti socio-sanitari. La persona malata deve essere presa in considerazione nella sua globalità. Anche nelle sue fragilità».

Nell’attività quotidiana gli operatori degli hospice, in prima linea, si trovano spesso ad accompagnare le persone a fare scelte importanti. E i nodi bioetici emergono in tutta la loro drammatica complessità: «Già il passaggio dalle cure per guarire alle cure palliative è un momento delicato – racconta Maria Elena Bellini, psicologa dell’hospice Casa San Giuseppe di Gorlago, alle porte di Bergamo – e da quel momento si inizia un percorso che richiede di calibrare gli strumenti di cura nel modo più corretto e opportuno. Hanno una grande portata bioetica tutte le scelte mediche, dal posizionamento di un sondino fino ad arrivare alla sedazione profonda». Ogni decisione, nel fare e nel non fare, comporta conseguenze estremamente significative che riguardano la vita del paziente. E per gli operatori è sempre più necessario avere la possibilità di condividere esperienze e approfondire i temi bioetici nella loro concretezza con gli esperti. «Come gruppo di lavoro ci piacerebbe creare una sorta di mini-consulta di confronto, a disposizione degli hospice che compongono il tavolo. È ancora un’idea embrionale, ma siamo convinti che una piccola équipe possa essere un sostegno prezioso davanti alle scelte bioetiche che tutti noi operatori quotidianamente ci troviamo a dover affrontare».

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