UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLA SALUTE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

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I «curanti» per una società ferita

Così medici, infermieri, farmacisti e tecnici della salute rispondono alla «Lettera» della Cei ai sanitari per la Giornata del Malato
17 Febbraio 2022

di GRAZIELLA MELINA

Ha avuto l’effetto di una carezza la «Lettera» che l’Ufficio Cei per la Pastorale della Salute ha rivolto ai «curanti» alla vigilia della XXX Giornata mondiale del Malato dell’11 febbraio. Mentre continuano le difficoltà causate dalla pandemia, che ha aggravato la situazione già fragile del sistema sanitario, si ripetono gli attacchi agli operatori sanitari e vengono rifiutati i ristori per i familiari degli operatori sanitari morti per il Covid, sentirsi dire grazie non può che confortare e incoraggiare.

«La Lettera ai Curanti ci tocca molto – commenta Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo) –. Ci sentiamo coinvolti e grati per questa attenzione importante per quanto abbiamo vissuto in un momento di difficoltà. Il tema dell’accesso alle cure, dei cosiddetti irraggiunti, è per noi un punto fondamentale. Colmare le disuguaglianze di salute che rendono diversi i cittadini di fronte a un diritto che la Costituzione definisce fondamentale è una esigenza che più volte abbiamo espresso. Così come ci preoccupano le aggressioni che subiscono molti colleghi. La violenza spesso è espressione proprio del disagio della gente, e si riverbera nei confronti degli operatori sanitari. La menzione, poi, della mancata programmazione, delle difficoltà che vivono i medici, del numero dei professionisti sanitari che sarebbero necessari per colmare le carenze e migliorare le condizioni di lavoro, è un monito fondamentale per tutti coloro che oggi esercitano il ruolo di governo della sanità».

Ricevere un grazie è spesso di per sé una forma di cura. «Ne abbiamo bisogno – ammette Barbara Mangiacavalli, presidente della Fnopi, la Federazione degli Ordini professioni infermieristiche –. Siamo stanchi, a livello non solo fisico ma anche mentale. Dai momenti in cui ci hanno osannato siamo passati alla cruda realtà. Le parole della Chiesa italiana ci richiamano a quella nostra essenza di relazione con l’assistito, al tempo dedicato alla cura. Nei momenti difficili abbiamo tenuto mani, comunicato con gli occhi, guardato visi di persone spaesate e sofferenti. Questi momenti preziosi nella prima e nella seconda ondata, pur nel dolore, ci fanno dire 'noi c’eravamo'. Abbiamo a cuore il rapporto pri- vilegiato con i nostri assistiti. E questo ci aiuta a riposizionare le questioni principali ancora insolute, dalla carenza dei professionisti al tema delle aggressioni. Gli ultimi report ci dicono che l’89% degli operatori in prima linea hanno subìto un’aggressione fisica e verbale».

Le parole della Letteraaiutano a sentirsi meno soli. «Abbiamo bisogno di essere 'curati' anche noi, e la riconoscenza è di conforto - dice Teresa Calandra, presidente della Fno Tsrm e Pstrp (la Federazione nazionale degli Ordini dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione) –. Oggi servono migliori modelli organizzativi. La sanità è ancora 'medicocentrica', ma per funzionare dovrebbe riconoscere pari dignità al valore di tutti gli operatori. Come avrebbe fatto il sistema ad affrontare la pandemia se non ci fossero stati i tecnici di laboratorio? Eppure spesso il lavoro di queste figure viene minimizzato: senza l’attività costante e quotidiana di questi operatori avremmo assistito a un’implosione del sistema. Bisogna valorizzare tutti. Nella sanità pubblica che immaginiamo per il futuro non c’è bisogno solo del medico. Oggi, più che in passato, è necessario che i decisori comincino a coinvolgerci, per esempio nella programmazione delle nuove 'case della salute'. Possiamo dare un buon contributo per rendere sempre più diffusa l’assistenza sul territorio».

Condivide i temi della Lettera Cei anche Andrea Mandelli, presidente della Fofi (la Federazione degli Ordini dei farmacisti italiani) e vice presidente della Camera dei deputati. «La pandemia – spiega – ha messo in grave crisi l’aspetto sociale delle comunità, il valore della relazione. Non è un caso che sia aumentato l’utilizzo dei tranquillanti. In quei giorni terribili il professionista della salute più accessibile spesso era solo il farmacista, che ha garantito un ruolo di prossimità. Siamo rimasti aperti e abbiamo dato risposte a molte persone. E poi ci siamo attivati somministrando i vaccini. Siamo rimasti al fianco del cittadino. Spesso un sorriso, uno sguardo che rassicura, un consiglio da dare, o anche una chiacchierata umanizzano la nostra professione. Non dimentichiamo che tanti oggi sono soli. È ormai sempre più necessaria una società nella quale tutti dobbiamo fare rete e squadra».

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